La storia
Tra mito e realtà
Varie fonti concordano sulla presenza, in questa parte dell’Umbria ,di eremiti siriaci intorno al V secolo. Tra di essi Mauro, il figlio Felice e la nutrice di quest’ultimo, trovarono riparo nella grotta sottostante l’attuale abbazia e da lì iniziarono la loro opera di diffusione del cristianesimo. Visto l’isolamento geografico della Valnerina, molte credenze e pratiche pagane sopravvissero, per un lungo periodo, nonostante l’introduzione della nuova religione. A ciò si deve il mito nato attorno alle gesta di Mauro e Felice che, si narra, sconfissero il drago che infestava il luogo , liberando le popolazioni dal pestifero mostro. Nel mito dell’uccisione del drago si cela quasi sicuramente la bonifica della valle che le esondazioni del Nera rendevano malsana e alla quale molto probabilmente contribuirono i monaci siriaci con le loro cognizioni sulla derivazione e il tracciamento dei corsi d’acqua. Lo stesso pasto che Mauro chiese alla nutrice del figlio di preparagli mentre andava ad uccidere il drago e costituito da cavoli cotti testimonia la situazione di insalubrità del luogo in quanto è noto che tutti i vegetali della famiglia delle crocifere, alla quale i cavoli appartengono sono efficaci antiscorbutici…
La sorgente e l’acqua di San Felice
All’interno del complesso Abbaziale si trova una sorgente naturale che sgorga tra le pietre della struttura ed è legata al culto terapeutico dell’acqua di San Felice.
Si narra che le donne del luogo erano solite attingere a quest’acqua per proteggere i loro bambini dalle malattie della pelle in particolare dalla scabbia , in passato quest’acqua aveva caratteristiche solfuree.
La natura
Nel mezzo della Val di Narco ai piedi di un’altura boscosa si erge l’Abbazia dei Santi Felice e Mauro con il canto del Nera che l’avvolge di frescura, una pace serena si distende su tutto, s’insinua nell’anima come un soffio di luce e la riempie; per un attimo, che svela l’eterno, invita a dimenticare che possa esistere qualcosa d’altro oltre quei prati, oltre i confini segnati dal letto del fiume, al di là dei colli che circoscrivono l’orizzonte e il pensiero…
Cenni naturalistici
Il Fiume
Il Nera, l’antico Nar dal popolo dei Naharci che abitarono questi luoghi oltre 2000 anni fa o dalla medesima parola sabina che significa zolfo o dalla stessa greca che indica la sua natura forte e impetuosa, è il protagonista assoluto di questa valle scavata dal fiume stesso da cui prende il nome Valnerina . L’Abbazia si trova al centro della valle nel punto in cui, dopo la stretta di Piedipaterno e prima di quella di Scheggino, si allarga dando origine ad ampi terreni alluvionali pianeggianti denominati Canapine, dal nome della pianta di Canapa, che vi si coltivava intensamente nel passato e oggi riscoperta e utilizzata nei tanti modi che potrete conoscere…..
Lungo il Nera la vegetazione ripariale è costituita da ontani, salici e pioppi cipressini, che spesso chiudono il fiume in una vera e propria galleria verde che sembra voglia nascondere gelosamente alla vista del visitatore il suo vero tesoro: le acque fresche e limpidissime .
La purezza delle acque consente la vita della trota Fario che alimenta la pesca che ha avuto la sua massima evoluzione nella creazione più a nord di una zona NOKill, gestita da Legambiente, dove i salmonoidi possono essere pescati solo con ami senza ardiglione e devono essere ributtati in acqua dopo la cattura.
Il Bosco
Dalla Valle si possono risalire i due versanti ed immergersi nel verde intenso del bosco.
Sono presenti boschi cedui di roverella, acero, carpino e orniello arricchiti dalla particolare presenza del Pino d’Aleppo di antica origine medio-orienatale.
Queste immense distese boscate sono attraversate da numerosi sentieri adatti ad ogni visitatore che a piedi, in bicicletta, a cavallo può percorrerli.
Si possono così ammirare i segni della presenza degli animali selvatici qui presenti , da quelli più rari: il lupo appenninio, il gatto selvatico, il capriolo, l’aquila reale a quelli più comuni come l’istrice, la volpe, la lepre, lo scoiattolo.
Inoltre si può osservare l’intensa opera dell’uomo, che da millenni ha modellato questo territorio e utilizzandolo come risorsa, togliendo al bosco porzioni di terreno per trasformarlo in piantate di viti maritate e uliveti, nonchè i segni delle opere per la realizzazione del carbone e della calce.
La Montagna
Oltre i novecento metri, i boschi di alto fusto di cerro e di faggio si ergono come patriarchi a difesa di uno degli ambienti naturali più ricchi ad incontaminati dell’intera Umbria.
Dove terminano le faggete, iniziano gli estesi pascoli di alta quota che arrivano fino a superare i 1500 metri di altidudine con i monti Coscerno ed Eremita.
Qui all’inizio dell’estate le erbe selvatiche si riempiono di fiori e si possono ammirare la particolare orchidea selvatica e il raro giglio rosso.
La piana di Gavelli è il luogo che più di ogni altro richiama il visitatore che qui può ammirare la lussureggiante vegetazione del cerro e del faggio, circondata da estesi prati e pascoli, con imponenti cerri secolari, testimonianza di una forersta ormai scomparsa.
In quest’area si trova il laghetto, luogo di grande importanza naturalistica, risultato di una depressione carsica perennemente sommersa da un picccolo stagno con densa vegetazione di càrici e cannucce. In questo micro ambiente vivono rane, bisce dal collare e il raro tritone crestato e ogni anno vi si riproducono delle coppie di porciglioni e gallinelle d’acqua.